Camara: "Mi sento parmigiano. Pecchia mi dice di restare sempre concentrato"
Il centrocampista crociato Drissa Camara è stato intervistato da Cronache di Spogliatoio, raccontando il suo viaggio dai campetti in Costa D’Avorio fino al primo gol in Serie B, trovato nell’ultimo match al Tardini contro il Cittadella. Drissa si tuffa nel suo passato, sfogliando l’album dei ricordi di una carriera iniziata al Maracanà, un campetto di pietruzze e sassi in Costa D’Avorio. Qui il classe ’02 si avvicina al calcio, imparando i primi automatismi e iniziando a sognare un futuro da calciatore, spinto da una grande passione e dalla spensieratezza di ogni bambino. “Alle 4 del pomeriggio arrivavamo tutti già cambiati, cascasse il mondo. Impegni, ritardi, imprevisti. Nulla ci avrebbe fermato”. Il talento di Drissa è fin da subito sotto gli occhi di tutti e le sue capacità vengono premiate. Come lui stesso racconta, “In uno degli ultimi tornei giocati in Costa d’Avorio ho vinto il titolo di miglior giocatore”. Queste capacità lo fanno spiccare rispetto agli altri ragazzi, accendendo l’interesse di persone interessate a lucrare su sul suo talento, portandolo, tramite un raggiro, a trasferirsi assieme all’ex crociato Chaka Traorè in Italia a soli 11 anni. Chi lo accompagnò in Italia dalla Costa d’Avorio violò le norme per i calciatori minorenni, facendo credere alle autorità che il ragazzo arrivasse nel nostro Paese per un presunto ricongiungimento familiare. Drissa fu ingannato, ma il Parma l’ha preso sotto la sua ala. Parma è diventata la sua città, come racconta lui (“Ormai mi sento un parmigiano”). Con lo stemma crociato addosso, Camara, ragazzo all’apparenza introverso, diventa un lottatore, capace di unire alle sue qualità una cattiveria agonistica e una grinta da grande combattente.
Il più grande sacrificio per un bambino che a 11 anni si trasferisce in un altro continente è sicuramente il distacco dalla famiglia. Nel 2021 è tornato per la prima volta in Costa d’Avorio dopo sei anni: "Quando ho rivisto mia madre abbiamo pianto senza dirci nulla. E insieme a noi c’erano i miei quattro fratelli e la sorellina. È stato uno dei giorni più belli della mia vita. Ho ripensato a tutte le notti in cui sono stato da solo in convitto, nella mia cameretta, mentre tutti gli altri tornavano a casa per le feste o in vacanza. Io no. Sono musulmano, non festeggio il Natale, ma restare da solo il 25 dicembre o durante quei giorni fa male". Tra un mese tornerà a casa a Capodanno per la prima volta dal 2015: "Impensabile fino a qualche tempo fa. Tutto ciò che faccio è dedicato alla mia famiglia. Il primo gol in Serie B, invece, è per mio padre. Se n’è andato nel 2018. Non gli ho potuto neanche dire addio. Quando sono tornato sono andato a trovarlo al cimitero".
Nonostante i tanti ostacoli, tra cui infortuni al menisco e due operazioni a entrambe le spalle, non si è mai arreso e in questa stagione con Pecchia sta trovando continuità. “Il mister mi dice sempre di restare concentrato e di non perdermi. È il mio punto debole: ogni tanto resto sulle nuvole e fatico a entrare in partita, ma ci sto lavorando”. Oggi ha la fortuna di dividere lo spogliatoio con Buffon: “Nello spogliatoio siamo l’uno accanto all’altro. Mi parla spesso, mi dice in cosa migliorare, poi scherziamo molto. Ogni tanto fa finta di dimenticarsi da dove vengo. ‘Ma quindi tu sei del Senegal, giusto?’. Avere una leggenda come lui aiuta”.