Mandela Keita: "Non è una situazione semplice, ma dobbiamo restare in Serie A"

Mandela Keita è intervenuto ai microfoni della Lega Serie A, in un'intervista realizzata ad inizio marzo e oggi pubblicata dai canali ufficiali. Una lunga chiacchierata sulla sua storia e sui primi mesi della sua avventura in Italia, partendo con la scelta di mostrare il nome Mandela sulla maglia: "Il nome dice tutto. Mia mamma mi ha cresciuto da sola, mi ha insegnato a lottare ed è ciò che Mandela ha fatto, per questo mi ha dato il suo nome. Il problema è che ovviamente sono molto lontano dall'essere una figura come Nelson Mandela, ma cerco di seguire il suo modello nelle piccole cose della vita. Essere sempre umile, lavorare duro, questi sono i valori che mi ha trasmesso mia mamma e li rispetto tantissimo. Cerco di avere qualcosa di Mandela, per questo porto con orgoglio il suo nome sulla maglia e voglio mostrarlo".
Sui primi passi su un campo da calcio: "Tutti pensano che fare il calciatore sia una cosa semplice, ma arrivare ad esserlo non è semplice. Ho iniziato a cinque anni, il dottore mi mise in un campo da calcio perché ero troppo vivace in classe e ha spinto per impegnarmi in qualcosa. Per fortuna avevo un po' di talento ed è andata bene".
Sull'idolo d'infanzia e sui modelli: "Tutti i calciatori giovani hanno un modello, il mio era Ronaldinho. Tutti coloro che lo hanno visto giocare penso abbiano pensato: 'Questo è il calcio'. Quando ero piccolo guardavo sempre i suoi video, questo mi ha dato la voglia di giocare a calcio. Non ho mai smesso di divertirmi in campo, se non ti diverti perché dovresti giocare? Per questo cerco sempre di divertirmi a modo mio. Nel mio ruolo ci sono tanti giocatori forti in questo momento. Penso a Rodri, Kanté, tanti che ammiro cercando di imparare qualcosa da ciascuno per essere la miglior versione di Mandela".
Sull'espulsione, all'esordio, contro l'Udinese: "Ero impaziente di mostrare le mie qualità a coloro che hanno avuto fiducia in me e ai tifosi. C'era un'etichetta dovuta al prezzo su di me, ma non ho mai guardato a quello. Quella settimana mi ero allenato davvero bene e arrivavo alla partita con tanta confidenza. Ho preso subito il primo giallo e mi son detto, 'stai tranquillo e fai le cose semplici'. Ho sbagliato e ho commesso un altro fallo. Non è stato semplice esordire così a livello mentale, sei un giovane che deve però imparare tante cose. Il club, l'allenatore, lo staff e i compagni mi hanno aiutato tutti tantissimo in quel momento, da lì in poi è andata in miglioramento. Sto anche cercando di imparare l'italiano e anche in quello son migliorato".
Sulle tante ammonizioni: "Cerco sempre di essere puntuale nel fermare sul nascere gli attacchi avversari, ma spesso sono arrivato in ritardo. Ora sto cercando di imparare, l'intensità in Italia era maggiore rispetto al Belgio per questo mi son dovuto adattare".
Mediano da interdizione, che non disdegna l'assist: "Cerco di aiutare la squadra nel migliore dei modi con le mie qualità, se posso servire un assist son contento ma preferisco vincere la partita e difendere bene come mediano. Per un centrocampista è importante proteggere la difesa e non concedere gol. Mi piace servire un assist, ma la cosa più importante è vincere le partite".
Ora il finale di stagione, con una salvezza da conquistare: "La cosa più importante è di rimanere compatti, isolarci dalle voci attorno a noi. Ci dobbiamo concentrati su noi stessi, con il supporto dei tifosi e dello staff. Non è una situazione semplice, ma se continuiamo a lavorare duro e rimanendo umili, possiamo e dobbiamo restare in Serie A".