Zola: "A Parma giocavo nella mia posizione ideale. Nessun allenatore mi diceva cosa fare"

04.09.2023 22:32 di  Tommaso Rocca   vedi letture
Zola: "A Parma giocavo nella mia posizione ideale. Nessun allenatore mi diceva cosa fare"
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© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport

Gianfranco Zola si è raccontato in una lunga intervista concessa al Corriere della Sera. L'ex crociato ha raccontato alcuni passaggi della sua carriera, soffermandosi poi sul ruolo da lui interpretato, quello del fantasista, sempre più in via di estinzione: "Ci sono dei numeri dieci che sono più portati a creare gioco, sono più bravi nella manovra e altri che sono più finalizzatori. Io credo di appartenere di più a questa seconda interpretazione del ruolo. Nelle squadre giovanili ho sempre giocato come attaccante, poi a 18 anni, quando andai alla Torres in serie C, ho fatto invece il centrocampista, offensivo ma centrocampista. E così anche quando sono andato al Napoli. Il passaggio al Parma mi ha riportato davanti, per ragioni tattiche, e in quella posizione ho dato il meglio di me stesso. Forse, quindi sono un 'nove e mezzo', felice di esserlo stato".

Si sta perdendo il ruolo del fantasista: "È un processo iniziato alla fine degli anni Novanta con Sacchi. Con lui si è cominciato a dare molto meno spazio alla creatività e molto di più all’organizzazione. Prima tutte le squadre erano strutturate allo stesso modo, con difese molto forti e marcatori capaci di annullare gli avversari. I due centrocampisti che recuperavano la palla la davano al numero dieci, o comunque al regista, che creava gioco, inventava l’assist per il bomber. Si lavorava molto per difendere, recuperare e impostare. Con Sacchi si è arrivati a una struttura più rigida, con i quattro centrocampisti, il 4-4-2, si faceva un grande pressing, tutti partecipavano alla manovra... Il fantasista doveva rientrare rigidamente in uno schema tattico predefinito. Non era come prima, quando il numero dieci era libero di andare dove voleva, seguire la palla, impostare la manovra. Io ci sono passato in mezzo, ero uno di quei giocatori che per inserirsi nel modello tattico di Sacchi doveva trovare un ruolo che però non era il mio: o facevo l’esterno di destra o di sinistra o la seconda punta. Anche Roberto Baggio si è trovato nella stessa condizione. Ora, ancora di più, tutti cercano di attaccare, di mantenere il possesso di palla, ma in un contesto tattico molto rigido e di conseguenza il numero dieci o diventa un sette, un undici o un finto nove. Il dieci non esiste più.

A me nessuno si è mai sognato di dirmi, quando avevamo la palla noi, 'Vai di qua o vai di là, fai così o fai colì'. Io diventavo matto, quando cercavano di imbrigliarmi. Qualche allenatore ci ha provato, ma non era per me. Io al calcio sapevo giocare solamente in quel modo. Non ero uno sregolato, facevo disciplinatamente il pressing quando gli avversari impostavano il gioco. Ma, quando avevo la palla, volevo essere libero di fare quello che sapevo fare: inventare. Al mio amico Luca Vialli, dicevo: 'Tu dimmi come vuoi la palla, poi a come fartela avere ci penso io, non preoccuparti'. Tenevo alla mia indipendenza, al modo in cui cercavo la posizione, al tempo delle mie giocate. Mi dava certezza, sicurezza. Perché era quello che sapevo fare".